mercoledì 23 febbraio 2011

La stanza dietro la chat


Internet è bello perché ha in sè la capacità di rispecchiare tutti i gusti.
Ognuno, di qualsiasi provenienza, classe sociale e religione può dominare in pochissimi e silenziosi click delle fonti di sapere pressoché inesauribili, in quanto il Web ha l'immensa dote di essere in continuo movimento, aggiornamento, ricerca, e ciò fa di lui un qualcosa non solo di impossibile da imitare, ma addirittura di irrinunciabile.

E dunque, se un cristiano per non dire un ebreo o un musulmano può trovare ciò che fa al caso suo nel Mondo della Grande Rete Invisibile, perché per gli innamorati dovrebbe essere diverso?

Certo, le premesse da fare ci sono, e non poche.
L'amore ha la fortuna/sfortuna (a seconda della occasioni) di coinvolgere l'intero essere umano con tanto di anima rigorosamente rossa, e pensare di racchiudere un sentimento così immenso ed inspiegabile nelle mura di siti web per incontri è ben lungi dall'essere cosa degna e credibile.

Nonostante ciò, le generazioni di giovani ragazzi e ragazze che hanno ormai la viziosa abitudine di accendere i loro personal computer alla tenerissima età di 6 o 7 anni, credono nelle chat e nell'amore, potenzialmente anche virtuale.

Ma cosa si nasconde realmente dietro la ricerca di un partner in una cornice emotivamente piatta come lo schermo di un pc?

Sicuramente un superamento, illusorio, di barriere psicologiche che con la loro opprimenza tendono a frustrare la personalità.

Le persone più soggette all'accesso frequente di chat sono quelle emotivamente più instabili; secondo degli studi che sono stati effettuati, la caratteristica umana che più spinge l'individuo all'utilizzo di reti di incontri online è la timidezza.
L'introversione crea un alone nero attorno al faccia a faccia, e rinchiudersi su internet è un'alternativa che molti giudicano più che valida.
Si tratta di un modo come un altro per superare dei limiti che altrimenti la nostra psiche sarebbe costretta ad affrontare.

Forse, è come urlare al mondo la propria presenza.

Articolo scritto da Simone Trebbi